Contrariamente a quanto si crede comunemente, il biodiesel non è un olio vegetale puro e semplice, come ad esempio l’olio di colza, bensì il risultato di un processo chimico (transesterificazione di oli vegetali con alcol etilico o metilico) a partire da questi o altri componenti biologici.

Il biodiesel è utilizzabile come combustibile per il riscaldamento o come carburante per i veicoli a motore, e rispetta le normative UNI 10946 ed UNI 10947.

Il biodiesel, a differenza di gasolio e GPL, proviene interamente da fonti rinnovabili, perchè ottenuto soprattutto dai semi di piante oleaginose ed a grande diffusione un po’ in tutto il mondo come il mais.

Un ulteriore vantaggio del biodiesel è la sua completa biodegradabilità, infatti le eventuali perdite nell’ambiente si trasformano nel giro di qualche settimana in prodotti derivati assolutamente naturali e non tossici, a differenza dei residui dei normali carburanti derivati dal petrolio.

A differenza di altri combustibili ecologici, come il bioetanolo, il biodiesel garantisce un rendimento energetico pari a quello degli altri combustibili o carburanti fossili, e non ha nessuna controindicazione nell’uso come carburante negli attuali veicoli a motore o come combustibile nelle caldaie, senza pregiudizi per l’affidabilità anche nel lungo periodo.

Storia

La transesterificazione dell’olio vegetale era stata condotta già nel 1853, dallo scienziato Patrick Duffy, molti anni prima che il primo motore Diesel diventasse funzionale.

Il primo modello di Rudolf Diesel, un singolo cilindro in ferro di 3 metri con un volano alla base, funzionò per la prima volta ad Augusta (Germania) il 10 agosto 1893. In ricordo di questo evento, il 10 agosto è stato dichiarato Giornata Internazionale del Biodiesel. Diesel successivamente presentò il suo motore all’Esposizione Mondiale di Parigi del 1898.

Questo motore rimase come esempio della visione di Diesel, poiché era alimentato da olio di arachidi — un biocombustibile, anche se non strettamente biodiesel, in quanto non era transesterificato. Diesel credeva che l’utilizzo di un combustibile ottenuto dalla biomassa fosse il vero futuro del suo motore.

In un discorso del 1912 disse: «l’uso di oli vegetali per il combustibile dei motori può sembrare insignificante oggi, ma tali oli possono diventare, nel corso del tempo, importanti quanto i derivati dal petrolio e dal carbone dei nostri giorni».

Nel corso degli anni venti, i produttori di motori diesel modificarono i loro propulsori per sfruttare la minore viscosità del combustibile fossile (petrodiesel) a scapito dell’olio vegetale. Le industrie petrolifere furono in grado di far breccia nel mercato dei carburanti perché il loro prodotto era più economico da produrre rispetto alle alternative ricavate dalla biomassa. Il risultato fu, per molti anni, la quasi completa eliminazione dell’infrastruttura di produzione del combustibile di biomassa. Solo recentemente le preoccupazioni circa l’impatto ambientale e la diminuzione della differenza di costo hanno reso i carburanti di biomassa un’alternativa valida.

Negli anni novanta, la Francia ha lanciato la produzione locale di biodiesel (nota localmente come diester) ottenuto dalla transesterificazione dell’olio di colza. Viene mischiato in proporzione del 5% nel normale combustibile diesel, e in proporzione del 30% nel combustibile diesel di alcune flotte di mezzi (trasporto pubblico). Renault, Peugeot e altri produttori hanno certificato dei motori da autocarro per l’utilizzo con questo biodiesel parziale., mentre sono in corso esperimenti per impiegare un biodiesel al 50%.

Dal 1978 al 1996, il National Renewable Energy Laboratory (NREL) statunitense ha sperimentato l’uso delle alghe come fonte di biodiesel, nell’ambito dell’Aquatic Species Program.

Le sperimentazioni del NREL, durate 16 anni, sono attualmente terminate in quanto il programma di ricerca non è stato ulteriormente rifinanziato.

Impatto ambientale

Dal punto di vista ambientale, il biodiesel presenta alcune differenze rispetto al gasolio:

Vantaggi

  • Rispetto al gasolio, riduce le emissioni nette di monossido di carbonio (CO) del 50% circa e di diossido di carbonio del 78,45%[senza fonte], perché il carbonio emesso durante la sua combustione è quello che era già presente nell’atmosfera e che la pianta ha fissato durante la sua crescita e non, come nel caso del gasolio, carbonio che era rimasto intrappolato in tempi remoti nella crosta terrestre. Vanno tuttavia considerati i consumi energetici in fase di coltivazione della materia prima, della lavorazione e del trasporto.
  • Praticamente non contiene idrocarburi aromatici; le emissioni di idrocarburi aromatici ad anelli condensati (es: benzopireni) sono ridotti fino al 71%.
  • Non ha emissioni di diossido di zolfo (SO2), dato che non contiene zolfo.
    Riduce significativamente le emissioni di fuliggine (fino a circa il 50%), ma la percentuale di particolato nocivo rimane simile a quella del diesel derivante da oli minerali
    Riduce l’emissione di polveri sottili fino al 65%.

Svantaggi

  • Produce più emissioni di ossidi di azoto (NOx) del gasolio, inconveniente che può essere contenuto riprogettando i motori diesel e dotando gli scarichi di appositi catalizzatori.
    Conseguenze negative socio-ambientali:
  • Utilizzo di terre coltivabili non per alimentare la popolazione ma per alimentare le macchine.
  • Innalzamento del prezzo delle materie prime soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.
  • Fra i problemi quello di creare insicurezza alimentare.
  • Se le tecniche di coltivazione sono monocolturali questo riduce la biodiversità, aumenta l’erosione del suolo e il rischio di insetti e batteri che distruggano le coltivazioni.

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