Tatiana Yugay ha vissuto più di dieci anni in Abruzzo. Ha scritto il libro “Abruzzo – terra
incognita”. Trasferendosi in Liguria procede ancora di fare omaggio alla nostra terra
meravigliosa. Vi proponiamo un frammento del suo prossimo libro “Camminando in Abruzzo
Ulteriore”. Buona lettura!

Tatiana Yugay

Il maestoso Castello Piccolomini di Celano

Al mio caro amico Roberto Pasquale,
chi sa realizzare i sogni

L’imponente castello-fortezza di Celano è ben visibile dall’autostrada che da Roma porta in Abruzzo. Anche in questo itinerario, dove dalla periferia di Roma alla città di Chieti all’ingresso dell’Adriatico, castelli e paesi sulle cime dei colli e negli anfratti delle montagne accompagnano sempre il viaggiatore, questo castello si distingue per la sua natura monumentale.

 

Ogni volta passando di lì mi ripromettevo di visitarlo. Tuttavia, dopo aver vissuto più di dieci anni a Montesilvano in Abruzzo, non ho fatto caso di arrivare a Celano, ma sono venuta al castello dopo essermi trasferita in un’altra regione, la Liguria. Non ho potuto finire il mio libro dell’Abruzzo Ulteriore perché il castello di Celano aveva svolto un ruolo molto importante nella storia dell’Abruzzo, e senza la sua descrizione restava un buco nero nel racconto. Giunto a Pescara per affari per un paio di giorni, ho chiesto al mio amico Roberto di accompagnarmi a Celano. Ha gentilmente accettato. Anche lui, sebbene fosse a Celano, non ha visitato il castello stesso. La realizzazione del mio antico sogno cioè visitare il castello è stata il regalo per l’8 marzo  più prezioso che ho ricevuto negli ultimi anni.

Il viaggio verso Celano lungo la strada panoramica durò quasi un’ora, trascorsa inosservata in una piacevole conversazione. Siamo arrivati ​​giusto in tempo per il pranzo e Roberto si è ricordato molto opportunamente che una volta lui e il suo amico avevano pranzato golosamente in una locanda nei pressi del castello. Abbiamo trovato abbastanza facilmente questa struttura, che si trova accanto al castello e si chiama “La Locanda del Castello”.

 

Dopo il pranzo abbiamo fatto una passeggiata attorno alle mura del castello. L’andamento monotono delle mura, in pietra da taglio, è interrotto da undici torri incassate rettangolari e cinque torri rotonde su basi coniche. Le torri rettangolari sono chiamate torri a scudo. Queste torrette di diverse dimensioni sembrano svilupparsi dallo spessore del muro all’altezza del secondo piano del castello, per poi innalzarsi sopra di esso. Quando abbiamo guardato le mura dall’altezza del castello, abbiamo scoperto che queste torri erano cave all’interno, cioè sono costituiti solo da muri senza tetto. È chiaro che servivano come una sorta di scudi per i difensori del castello, che li raggiungevano lungo percorsi di ronda coperti e potevano sparare al nemico dall’alto.

Di fronte all’ingresso principale del castello si trova l’antica chiesetta del Santo Angelo, un tempo chiamata di San Michele Arcangelo. Fu fondata contemporaneamente al castello, ma la costruzione fu completata diversi decenni dopo. La chiesa, dall’aspetto molto modesto, ci ha piacevolmente sorpresa con la ricca decorazione barocca dell’unica navata.

Ero indecisa cosa mi piacesse di più: il castello stesso o i panorami mozzafiato delle montagne circostanti e della vasta pianura di sotto. Da vicino la fortezza risulta ancora più massiccia di quanto vista dalla strada, le sue mura e le sue torri erano in ottimo stato e sembravano inespugnabili come nel Medioevo. Mi fermai un attimo prima di varcare le porte della fortezza. Ho aspettato troppo a lungo per visitare questo capolavoro dell’arte fortificatoria abruzzese e avevo una certa paura della delusione. Alla fine siamo entrati nella porta e abbiamo salito una rampa in leggera pendenza. In occasione dell’8 marzo mi hanno fatto entrare gratis e Roberto ha pagato 4 euro.

Ci trovammo in uno spazio abbastanza ampio tra le mura esterne ed interne del castello e continuammo a salire lungo uno stretto ponte levatoio che sovrasta un fossato asciutto. C’era una larga rampa parallela con gradini ampi e bassi, lungo la quale anticamente salivano e scendevano cavalieri e carrozze.

Era possibile salire una scala metallica aperta e camminare lungo i sentieri di ronda sopra le mura del castello. In precedenza, le sentinelle effettuavano pattuglie regolari per individuare in tempo le truppe nemiche, ma ora i turisti camminano lungo le mura per ammirare panorami mozzafiato.

Il castello è situato sul colle di San Flaviano nel centro del comune di Celano, sorgendo sul bordo della gigantesca Conca del Fucino, che in passato era un enorme lago, il terzo più grande d’Italia, oggi prosciugato. Dal ponte di osservazione guardavamo i pittoreschi dintorni: montagne blu sullo sfondo e una vasta valle sottostante. Grazie alla sua posizione strategica all’incrocio delle strade che portavano da Roma a L’Aquila e al mare Adriatico, la potente fortezza controllava e custodiva il vasto territorio del Fucino, un tempo completamente ricoperto dalle acque dell’omonimo lago, ed ora tagliato da strade, ricoperto da rettangoli ordinati di campi fertili, diversi insediamenti e imprese industriali.

A differenza dei castelli rinascimentali, dove il carattere militare e difensivo veniva addolcito e smussato grazie ai bastioni circolari, questo castello colpisce per la sua struttura quasi monolitica. L’edificio ha una pianta rettangolare con quattro torri quadrate agli angoli, decorate con caratteristiche merlature a coda di rondine e feritoie di tipo ghibellino. Le quattro torri del castello sono perfettamente allineate con i punti cardinali ed emergono da un marcapiano, mentre le torri cilindriche dell’ex cinta muraria sono decentrate. I lati lunghi dell’edificio sono rivolti a nord e a sud, mentre i lati più corti sono rivolti a est e a ovest. Al piano superiore, che si eleva sopra le pareti esterne, si vedono le finestre una più bella dell’altra: stupende bifore e trifore gotiche  e diverse finestre architravate rinascimentali.

Quando siamo entrati nel cortile del castello ci aspettava una vera sorpresa. Le austere mura medievali del castello nascondevano e conservavano l’elegante atrio rinascimentale, incorniciato sui quattro lati da due piani di loggiati ad arco aperto.

La galleria inferiore è formata da archi a sesto acuto e sorretta da massicce colonne di pietra tagliata. Alle volte gotiche dell’ordine inferiore si sovrappone la galleria superiore, più elegante, con doppi archi a tutto sesto su leggere colonne rinascimentali. Sui capitelli delle colonne sono visibili le mezzelune, simboli araldici della famiglia Piccolomini, originaria di Siena. Al centro del cortile si trova un elegante pozzo quadrato con due colonne, che serviva a raccogliere l’acqua piovana che confluiva in una cisterna sotterranea.

Su una delle pareti è collocato il portale di chiesa in pietra bianca con intagli elegantissimi e lo stemma dei Piccolomini, però la porta non si apre da nessuna parte. L’iscrizione dice che in precedenza decorava l’ingresso della quattrocentesca cappella di Sant’Andrea.

Per la prima volta ho riscontrato in Abruzzo un contrasto così evidente tra l’esterno e l’interno del castello , anche Roberto era rimasto piuttosto sorpreso. Durante il lungo periodo della sua esistenza il castello Piccolomini ha subito una serie di trasformazioni che ne hanno modificato l’aspetto originario.

La struttura del castello è di chiara origine medievale con la caratteristica merlatura ghibellina a coda di rondine, ma il suo aspetto definitivo si formò nella seconda metà del XV secolo, in pieno Rinascimento. Nato originariamente come struttura difensiva, il castello venne progressivamente trasformato in una residenza rinascimentale. Di conseguenza, la sua architettura è stata una sintesi armoniosa di elementi medievali e rinascimentali.

Il castello ospita due musei con un percorso espositivo piuttosto ricco: il Museo d’Arte Sacra della Marsica, fondato nel 1992, e la Collezione Torlonia di Antichità del Fucino. La collezione di oggetti sacri è composta da opere provenienti dal Museo di Palazzo Venezia a Roma, dove erano conservate opere d’arte scampate al terremoto che colpì la regione della Marsica  nell’anno 1915, e da opere d’arte precedentemente ospitate nel Museo Nazionale d’Abruzzo dell’Aquila, il cui edificio fu danneggiato dal terremoto del 2009. Di conseguenza, l’esposizione del museo ha raccolto preziose opere d’arte sacra che sono miracolosamente sopravvissute ai due devastanti terremoti.

Il museo è situato al cosiddetto piano nobile. Dodici sale espongono sculture, dipinti, gioielli e paramenti sacerdotali dal VI al XVIII secolo. Le prime sale espongono icone, statue e frammenti decorativi provenienti da chiese distrutte. Sono sempre commossa dalle statue lignee con aspetto ingenuo e arcaico  delle antiche chiese abruzzesi.

La nostra attenzione è stata subito attirata dalla statua lignea variopinta della Madonna seduta con Gesù Bambino. La Vergine Maria incoronata è vestita con un manto dorato che scende dalle sue spalle, avvolgendole le ginocchia. Si apre sul petto per rivelare un abito blu scuro con ricchi ricami. Gesù è vestito con una veste dorata e scintillante ed è avvolto in un mantello blu scuro. Con una mano la Madonna sostiene il figlio e con l’altra, tenuto alto, tiene un uovo. Il bambino assomiglia molto a sua mamma e il suo viso è piuttosto maturo. Con una mano tiene il dito della mano che lo sostiene, mentre l’altra mano è sollevata in un gesto di benedizione. La simmetria dei gesti e degli abiti della Madre e del Figlio conferisce un’intimità particolare a questo gruppo scultoreo.

Nella stessa sala sono esposti frammenti di arredamento architettonico provenienti dalle chiese di San Pietro in Alba Fucens, di San Nicola di Marano dei Marsi  e di San Salvatore di Paterno (Avezzano).

 

Tra i frammenti marmorei segnaliamo una lapide romanica raffigurante due draghi con i colli intrecciati; un pannello quadrato con rosone traforato e nastri di cornice intrecciati che ricalcano l’arte lombarda, accanto al quale appare il capitello di colonna che raffigura una sirena con espressivo volto umano e un grifone, che ha le zampe artigliate e gli ali d’aquila. Accanto c’è un tarchiato eroe arcaico che, senza sforzo visibile, tiene due leoni per le zampe posteriori. Un altro  rilievo riccamente decorato raffigura un personaggio sfortunato perché fu afferrato per il collo da un enorme leone.

È stato un po’ inaspettato vedere le antiche porte di legno in una delle sale. Una porta è piuttosto in pessime condizioni, soprattutto nella parte inferiore, anche se i frammenti superstiti dimostrano la perizia dell’intaglio del legno. Questa porta del XII secolo proviene dalla chiesa di San Pietro in Alba Fucens. Dapprima la porta ha trascorso molto tempo a Roma per restauri e fu esposta per qualche tempo nel Museo di Palazzo Venezia, poi fu trasferita al museo dell’Aquila, e da lì giunse a Celano.

L’altra porta è stata perfettamente conservata. Proviene dalla chiesa di Santa Maria in Cellis a Carsoli e risale al 1132. Dopo il terremoto del 1915 fu trasferita al Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila (già Museo Archeologico Comunale), e dopo il terremoto del 2009 è arrivata a Celano. La porta, scurita dal tempo, è ricoperta da finissimi intagli. In otto rettangoli incorniciati da ornamenti intagliati si svolgono scene della Vita di Cristo: l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività, l’Annunciazione ai pastori, l’Adorazione dei Magi, la Strage degli Innocenti, l’Introduzione di Gesù al Tempio, Gesù nel Tempio tra i Maestri, purtroppo, le ultime due scene non sono decifrabili.

Alle porte delle chiese del XII secolo si abbinano le arcaiche sculture lignee della Madonna col Bambino situate su entrambi i lati. Accanto c’è un’immagine piuttosto espressiva e persino terrificante della Madonna del Latte (artista sconosciuto del XIII secolo). Proviene dalla chiesa di Santa Maria Nuova a Collelongo. È ben conservata grazie al restauro del 1950. Vestita con ricchi paramenti, la Madre di Dio, non guarda lo spettatore, ma da qualche parte di lato. I seni pieni di latte sono raffigurati in modo molto realistico. Il bambino sta per prendere il seno e guarda anche lui con cautela nella stessa direzione. Sono poco visibili le figure inferiori dei Santi Michele, Maria Maddalena e un santo sconosciuto.

Si potrebbe guardare all’infinito sculture, icone e frammenti di affreschi, raffiguranti soprattutto la Madonna col Bambino, come un inno alla maternità giunto dal profondo dei secoli. Mi soffermerò su un’altra scultura che mi ha colpito. La Madonna del Parto, la Vergine in attesa della nascita del figlio, è raffigurata con il capo scoperto e il volto rivolto al futuro. Il mantello color terracotta, che scende dalle spalle e avvolge la sua figura seduta, si apre sul davanti rivelando un ventre arrotondato. Questo stato di anticipazione della futura maternità viene poeticamente chiamato in italiano la dolce attesa.

Mentre ammiravo la bellezza contemplativa della futura madre di Cristo, quasi mi perdevo un piccolo capolavoro di Andrea de Litio, mio artista abruzzese preferito. Su un grande supporto rosso era collocato il volto della Madonna, incorniciato da un’aureola dorata. Si tratta di un frammento della celebre icona della Madonna di Cese (1439).

Tragica e meravigliosa è la storia di questa insolita immagine della Madonna, che in origine si trovava nell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Cese. La veneratissima immagine della Madonna che tiene in braccio il Bambino era conservata in una teca con ante argentate. Nel 1915 la chiesa parrocchiale di Cese fu distrutta dal terremoto che scosse tutto l’Abruzzo. Dopo il terremoto, dalle macerie fu recuperato solo un bellissimo volto con un’aureola dorata, che dopo il restauro del 1993 fu esposto nel Museo.

La Vergine Maria ha leggermente chinato il capo, coperto da un velo blu scuro con finissimi ricami dorati, da sotto il quale traspare un altro sottile velo. Il viso raffinatissimo con gli occhi socchiusi e la bocca tristemente compressa affascina con la sua leggera tristezza e saggia sottomissione al destino. Un volto simile non può appartenere che alla Madre, che già conosce il destino futuro del Figlio, che guarda da sotto le palpebre abbassate con infinito amore materno e pietà. Sull’alone dorato che circonda il volto, è incisa la scritta in lettere maiuscole “AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS T (Tecum)”. Del trono su cui sedeva la Madonna è rimasta solo la parte superiore dello schienale dorato con motivi floreali su fondo verde e inserti di pietre preziose.

Impossibile non ammirare lo splendore dorato del trittico della Madonna di Alba Fucens dei secoli XIII-XIV proveniente dalla Chiesa di San Pietro in Albe. La pala dell’altare, realizzata da artigiani veneziani, è composta da tre pannelli di legno ricoperti di lamina d’oro con placche smaltate realizzate in stile bizantino. Nel pannello centrale è raffigurata la Madonna col Bambino entro una cornice a motivi dorati. Gli aloni traforati che circondano i loro volti sono vere opere d’arte orafa. La Vergine Maria è vestita con una pianeta blu scuro con ricami dorati sul collo e sulle spalle e con stelline dorate su tutto il campo. In mano tiene quella che sembra una ghirlanda rotonda, decorata con turchesi e perle. Gesù in una veste d’oro benedice questa corona, alzando la mano con due dita tese. Lungo tutto il perimetro dell’immagine si trovano 28 medaglioni con immagini di santi e apostoli; altre quattro immagini si trovano ai lati della testa della Madonna. Sui lembi laterali del trittico sono presenti dieci medaglioni raffiguranti scene del Nuovo Testamento. Nell’ala sinistra – a partire dall’Annunciazione fino all’arresto di Cristo da parte di Pilato; a destra sono scene della Passione – dalla Flagellazione alla Resurrezione.

Il prezioso trittico fu recuperato dalle rovine della Chiesa di San Pietro in Albe dopo il terremoto del 1915 e trasportato al Museo di Palazzo Venezia a Roma. Dopo un lungo e accurato restauro, nel 1995 era finalmente tornato nel museo della Marsica.

Passando di sala in sala, non potevo smettere di ammirare i paesaggi che si aprivano dalle alte finestre ad arco. Le finestre sono situate in nicchie con panche in pietra su entrambi i lati. Mentre ero seduta su una panchina del genere, immaginavo vividamente come nobili signore del castello guardassero in lontananza il Lago Fucino, aspettando i loro mariti andati in guerra o in terre lontane in cerca di fortuna. Particolarmente bella è la bifora con archi figurati, in entrambe le porte delle quali, come in un dipinto antico, si vedono lontane montagne grigio-azzurre con nuvole scure sospese. Leonardo da Vinci spesso dipingeva le sue Madonne sullo sfondo di tali bifore. Ricordiamo la bella Madonna di Benois dell’Ermitage a San Pietroburgo. Un’altra finestra a tre ante è sormontata da tre graziosi quadrilobi, simili a un trifoglio.

Purtroppo, a parte le finestre con vista panoramica, nulla fa ricordare l’antico splendore degli interni del castello. Quando ci siamo ritrovati nell’ultima sala, decorata con magnifici affreschi, mi sono rallegrata, pensando che quella era la sala principale del castello. Allo stesso tempo ero confusa dalla evidente dissonanza tra i dipinti raffinati e l’austera semplicità del castello.

Gli eleganti affreschi rinascimentali hanno un carattere chiaramente secolare, palatino. Sono realizzati nello stile uniforme e raffigurano personaggi maschili collocati a coppe in nicchie semicircolari formate da colonne e sormontate da baldacchini a forma di conchiglia. Le composizioni austere mi hanno ricordato i dipinti del famoso artista del primo Rinascimento italiano Piero della Francesca, che ho visto nel Palazzo Ducale di Urbino e nella Basilica di San Francesco ad Arezzo. Sono rimasta un po’ sorpresa dalla scelta dei personaggi, o meglio, dal loro abbigliamenti scarlatti e verdi, chiaramente antichi (toghe e vesti romane, tuniche e armature militari). Tra l’entourage maschile c’era solo una donna con un abito dalle pieghe lussureggianti.

Il tempo non è stato clemente con le pitture murali, ma dai frammenti superstiti si può facilmente immaginare il loro antico splendore. Tali affreschi avrebbero potuto decorare le pareti dei palazzi rinascimentali di Roma e Firenze, ed era un po’ strano vederli nel medioevale ambiente abruzzese. Ma il Castello di Celano ci ha sorpreso già fin dall’inizio con il suo cortile rinascimentale e ci ha deliziato con le magnifiche finestre gotiche, così insolite per una fortezza.

Secondo il testo esplicativo sullo stand, si trattava di affreschi rinascimentali proveniente dal Palazzo Ducale Orsini di Tagliacozzo (Abruzzo), che è stato molti anni in restauro. Gli affreschi furono accuratamente staccati dalle pareti e trasferiti nel castello. Volevo tante volte andare al Palazzo Orsini a Tagliacozzo, ma era sempre chiuso. Siamo stati fortunati perché gli affreschi sono temporaneamente esposti nel museo a causa del lungo restauro del Palazzo Orsini. Sono felice di aver visto a sorpresa un po’ del suo splendore a Celano.

L’autore di questo capolavoro è Lorenzo da Viterbo (1444 (?) – 1476). Intorno al 1464-1466 l’artista affrescò la Loggia dei Uomini illustri e la Cappella (Storie di Cristo) nel Palazzo Orsini per i duchi Napoleone e Roberto, feudatari di Alfonso d’Aragona. Sulle colonne della loggia il maestro appose la sua firma sotto forma di monogramma LAURENTIUS, costituito dalle lettere del suo nome. Il famoso studioso del primo Rinascimento, Roberto Longo, considera questi affreschi la prima opera indipendente dell’artista, dove prevale la forte influenza di Piero della Francesca su quella tardogotica[1].

Tenuto conto del deplorevole stato degli affreschi, è possibile, con un certo grado di convenzione, distinguere le seguenti coppie di protagonisti antichi: statisti Giulio Cesare e Ottaviano Augusto; scrittori Ovidio Naso e Marco Varrone con i libri in mano; politici presumibilmente Catone Utico e il primo console Bruto; generali Scipione e Flaminio. L’unica coppia mista rappresenta la regina amazzone Pentesilea in veste bordeaux e il principe troiano Troilo. Della coppia che li seguiva, sopravvisse solo Alessandro Magno, mentre il suo compagno della nicchia è completamente indistinguibile.

La seconda parte dell’esposizione nel castello è costituita da un’interessante collezione archeologica, che presenta i risultati degli scavi effettuati nei territori di Avezzano, Luco dei Marsi, Collarmele, Alba Fucens e San Benedetto dei Marsi. I reperti più pregevoli provengono dalla collezione Torlonia, principe di Fucino. Si compone di 184 reperti e 344 monete romane in bronzo. L’esposizione presenta antichi attrezzi agricoli e da pesca, armi e gioielli. I reperti, piuttosto diversi, sono accomunati dal fatto che furono tutti rinvenuti durante il prosciugamento del Lago Fucino con la partecipazione straordinaria  di Alessandro Torlonia nella seconda metà del XIX secolo. Uno dei reperti più pregevoli è la testa di Afrodite (III-II secolo a.C).

Di grande interesse storico e scientifico sono i rilievi in ​​pietra calcarea (II secolo d.C.) raffiguranti in tre dimensioni la città di Marruvium (capitale della Marsica, nei pressi di San Benedetto dei Marsi). Il pannello scultoreo rappresenta uno dei capolavori della scultura romana in Abruzzo. Vediamo una città circondata da mura, con templi, terme e un anfiteatro; e a destra, nel bosco, è il santuario della dea Angizia ad Arx di Lucus, cioè a Luco dei Marsi.

Il Ministero dei Beni Culturali ha acquisito la collezione di Alessandro Torlonia dai suoi eredi nel 1994 e nel 2003 la mostra è diventata fruibile al pubblico.

L’ultima stanza che abbiamo visitato, o meglio dire, abbiamo esaminato dall’alto, era una prigione, che era parte integrante di ogni castello. Come si addice a una prigione, era una grotta scavata nella roccia. La finestra lunga e stretta lasciava entrare a malapena la luce del giorno. La cella angusta conteneva solo un tavolo e una sedia dallo schienale alto, e non c’era nemmeno l’ombra di un letto. Apparentemente il prigioniero era incatenato alla gamba del tavolo con una catena massiccia, che giaceva ancora sotto il tavolo. Che orrore!

Quando uscivamo dalla città, ho chiesto a Roberto di fermarsi su uno dei tornanti per fotografare il panorama di Celano. Il castello si mostrava imponente sullo sfondo di una montagna innevata, da un lato, e di un pendio brullo e dolce, ricoperto di alberi ad ombrello, dall’altro. Il panorama era fortemente rovinato da vari edifici bassi, chiaramente costruiti nella metà del XX secolo e non caratterizzati da un’architettura eccezionale.

Quando ho trovato  un acquerello di Edward Lear raffigurante un panorama di Celano del 1843, oggi conservato alla Morgan Library di New York, tutto è stato chiaro. Il castello dominava un tipico borgo medievale. Borghi castellani simili esistono ancora in Abruzzo. Le case a forma di parallelepipedi a due o tre piani con strette finestre a feritoia, poste su sporgenze, erano costruite con la stessa pietra calcarea locale della fortezza stessa, rappresentando la prima linea di difesa. Le onde grigio-blu del lago si infrangevano molto più in basso. Il paesaggio emanava austera bellezza e armonia.

Spero che i lettori siano già sufficientemente incuriositi dalla storia del castello di Celano. Ora è giunto il momento di raccontare la sua storia drammatica e piena di vicissitudini, come un romanzo cavalleresco. Il castello nasce originariamente come struttura difensiva militare quando venne fondata una primitiva fortezza per ospitare una guarnigione di truppe dell’imperatore Federico II di Hohenstaufen, che conquistò e distrusse il borgo di Celano nel 1223.

Il castello nel suo aspetto attuale fu fondato da Pietro de’ Berardi, conte di Celano. Nel 1392 ne iniziò la costruzione, continuando l’opera del nonno e del padre, che già nel periodo 1356-1380 fortificò il Colle di San Flaviano, erigendo un sistema di mura con torri a scudo rettangolari e una torre di avvistamento quadrata. Pietro di Celano costruì il primo piano con torri quadrangolari agli angoli, integrando una torre di avvistamento nell’angolo nord-est. Costruì anche un cortile con loggiato ad archi ogivali.

Nel 1451 Lionello Acrocciamuro, duca di Bari, divenne conte di Celano sposando Jacovella Ruggeri di Celano, nipote di Pietro Berardi. Il nuovo proprietario si adoperò subito per rafforzare il castello, collegando innanzitutto la cinta muraria esterna con grandi torri angolari semicilindriche. Aumentò inoltre lo spessore delle mura affinché potessero resistere agli attacchi dei cannoni a polvere da sparo inventati in quegli anni. Aumentò anche le quattro torri angolari del castello all’altezza attuale e aggiunse percorsi di ronda. Acrocciamuro costruì un secondo piano, il piano nobile, dove ora si trova l’esposizione museale che abbiamo visitato.

Dopo la morte di Lionello Acrocciamuro, la moglie Iacovella di Celano non era riuscita a mantenere il possesso del castello. Nel 1463, il re Ferdinando I di Napoli ha concesso la contea di Celano ad Antonio Todeschini Piccolomini, nipote di papa Pio II, quando egli sposò la figlia naturale del re. Il nuovo proprietario riprese ad ammodernare il castello, aggiungendo ampliamenti e decorazioni architettoniche che lo trasformarono in una residenza nobiliare fortificata.

Nel 1591 Costanza Piccolomini vendette la contea a Camilla Peretti, sorella di papa Sisto V.

Successivamente il castello passò di proprietà a diverse famiglie nobili, tra cui gli Sforza-Cesarini e i Dragonetti, che mantennero pressoché intatta la pianta dell’edificio.

Nel 1915 un catastrofico terremoto distrusse gran parte del castello e del borgo castellano, ma straordinari lavori di restauro lo hanno riportato all’aspetto originario. Nel 1938 il castello fu espropriato dallo Stato e dichiarato monumento nazionale.

Edward-Lear-View-of-Celano-Morgan-Library-1843
Edward-Lear-View-of-Celano-Morgan-Library-1843

 

[1] Roberto Longhi, Primizie di Lorenzo da Viterbo, in “Vita Artistica”, 1926, pp. 109-114 (con lo pseudonimo di A. Ronchi), ripubblicato in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, vol. II. Saggi e ricerche 1925-28, Firenze 1967, tomo I, pp. 53-62.

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