Nell’ormai lontano 1976 videro la luce per i tipi della Edigrafital di Teramo gli Atti del Terzo Convegno sui Viaggiatori Europei negli Abruzzi e Molise nel XVIII e XIX secolo, contenenti contributi di illustri studiosi italiani ed europei anche nel campo demologico.
Questi scritti aprirono orizzonti insospettati sugli aspetti etnografici abruzzesi del XVIII e XIX secolo, arricchiti da resoconti che spaziano fino agli anni trenta del ‘900, quando il completamento della rete ferroviaria regionale con l’inaugurazione del tratto Sulmona- Castel di Sangro- Isernia avvenuta nel settembre del 1898 rese possibile un maggior flusso di viaggiatori provenienti da ogni angolo d’Europa.
Nel corso delle due giornate di lavoro svoltesi il 19 e il 20 settembre 1974 a Teramo e Giulianova fu resa nota anche la preziosa Bibliografia dei Viaggi e delle descrizioni d’Abruzzo in lingue straniere, pubblicata in “Appendice” agli Atti del Terzo Convegno a cura di Adelmo Marino, che costituisce un aggiornamento del Saggio di una bibliografia ragionata dei viaggi e delle descrizioni d’Italia e dei Costumi italiani in lingue straniere, pubblicato nel 1882 da Alessandro D’Ancona[1].
Non vanno dimenticati gli ulteriori contributi dovuti a singoli studiosi abruzzesi e pubblicati nella seconda metà del secolo scorso, come quello a cura di AA.VV. dal titolo Viaggiatori francesi negli Abruzzi [2] oppure il nostro saggio (ci sia consentito ricordarlo) Sulmona negli scritti dei Viaggiatori Europei del XVIII e XIX secolo [3].
Come è noto la letteratura relativa ai Libri di Viaggio ha modo di esplodere in Italia verso la prima metà ‘700, nell’ambito di quel grandioso fenomeno culturale che fu appunto il Grand Tour e sul quale in tale sede non possiamo soffermarci su tutti i suoi particolari aspetti.
Un punto di riferimento imprescindibile per i Viaggiatori è costituito dal regno di Napoli, specie quando gli scavi patrocinati da Carlo III di Borbone cominciarono a restituire alla luce Ercolano e Pompei, distrutte nel 73 d. C. dall’eruzione del Vesuvio.
Affascinati dai magici colori del paesaggio meridionale, visto ormai in fase pre-romantica come proiezione di uno stato d’animo, molti Viaggiatori che erano spesso letterati illustri o noti artisti,pittori ed incisori si spingono come per es. il Goethe fino in Sicilia, attratti dall’irresistibile bellezza dei monumenti della Magna Grecia e soprattutto dalla maestosità di templi che dedicati alle varie divinità dell’Olimpo, sembravano elevarsi in cielo e sfidare le leggi del tempo.
Un argomento vasto dunque e di estremo interesse è quello relativo ai Viaggiatori del Grand Tour, portatori di esigenze culturali diverse. Fra essi vi sono anche storici, archeologi, numismatici ed epigrafisti la cui fama comincia lentamente ad espandersi per tutta l’Europa.
Theodor Mommsen per es. è uno di essi; egli soggiorna in diverse occasioni in Abruzzo, soprattutto a Corfinio, dove trascrive numerose epigrafi che confluiranno poi nel monumentale Corpus Inscriptionum Latinarum.
Molti Viaggiatori visitano il Lago di Fucino, già descritto da Virgilio nell’Eneide, e gli emissari fatti costruire dall’imperatore Claudio al fine di prosciugarlo. L’attrazione esercitata dal magico specchio d’acqua specialmente sui Viaggiatori tedeschi ed inglesi dell’epoca è stata ben messa in evidenza da E. Cerasani, che ha tradotto e pubblicato a Sulmona nel 1982 il volume di Sir Henry Colt O’ Hare, dal titolo Escursioni da Roma al Lago di Fucino, compiuta nel 1792.
Gli studiosi tedeschi in particolare, che si appoggiano al famoso Istituto di Corrispondenza Archeologica Germanica fondato a Roma nel 1829, sono anche storici dell’oreficeria e dell’arte ma sono attratti dal Lago di Fucino ed in particolar modo dai Campi Palentini, presso Scurcola, dal ricordo di un evento prettamente storico, perché qui avvenne come è noto la storica battaglia che decise le sorti di Corradino e della dinastia sveva in Italia.
A ben osservare dunque si può dire che fino all’Unità d’Italia non vi sono colti Viaggiatori che si recano in Italia ed in special modo in Abruzzo solo perché attratti dal meraviglioso patrimonio folklorico della nostra Regione. Le tradizioni popolari più significative si rinvengono nell’ambito di descrizioni generali del territorio abruzzese,si pensi per es. alle Excursions in the Abruzzi and Northern Provinces of Naples del Keppel Craven (London 1838) [4] oppure alle Illustrated Excursions in Italy,di E. Lear ( London 1846) [5] ed ai Vojages en Italie, Naples, et ses environs. Romagne et Abruzzes, di M. Valery ( Bruxelles 1842 ).
Infatti sono sempre le Excursions che affascinano questi ‘esploratori’, i quali compiono i loro viaggi “ in modo avventuroso “ a dorso di mulo oppure a cavallo. I dati raccolti, soprattutto quelli artistici, confluiranno poi come sottolinea il Russi in “vere e proprie guide turistiche” scritte nelle principali lingue straniere,come per es. quelle edite da Karl Baedeker, la cui prima pubblicazione, in francese,è costituita da L’Italie. Manuel du vojageur, apparsa a Coblenza nel 1869 e decisamente più completa rispetto alla guida di Jacob Volkmann, la più nota del ‘700 e di cui si servì anche Goethe per il suo ItalienischeReise.
Non vanno dimenticati gli accenni al fenomeno del brigantaggio che appaiono di tanto in tanto in questi resoconti, sicché ora è Villalago, ora Roccapia ( e l’elenco non termina certamente qui ) a fregiarsi di tale indesiderata nomea, che ingigantita fuori misura in Europa finisce per coinvolgere tutta la nostra Regione considerata in Germania, ancora nel 1911, ‘terra di briganti’[6].
La fondazione di prestigiose Istituzioni culturali, come la ‘Società di Storia Patria A. L. Antinori (1888) e di importanti periodici quali la ‘Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti’ ( Teramo 1886) e più tardi la ‘Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte’ ( Sulmona 1897) rappresenta un evento straordinario per gli studi demologici in Abruzzo. Alcuni contributi del Finamore, del Pansa e del De Nino erano già apparsi tuttavia nell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, diretto da G. Pitré, nel periodo 1882-1906. I periodici editi in Abruzzo fungono pertanto da ‘bacini di raccolta’ delle istanze culturali regionali ed evitano la dispersione in periodici nazionali ed europei dei contributi più significativi specie in campo storico-artistico e folklorico.
Infatti all’incirca nell’ultimo ventennio dell’800 erano state fondate diverse riviste ‘concorrenziali’ in Europa, per es. Folk-lore a Londra, Melusine in Francia, dirette da illustri studiosi quali H. Gaidoz ed E. Rolland, e soprattutto la Zeitschfrit fur Volkskunde, termine quest’ultimo che traduce alla lettera quello inglese di folk-lore.
Grazie a tali periodici i colti Viaggiatori Europei vengono maggiormente sensibilizzati verso i problemi etnografici, anche se i loro interessi non esorbitano da aspetti prettamente descrittivi e talvolta ‘comparativi’.
Noi non possiamo in tale sede descriverli tutti ma dobbiamo soffermarci invece su un aspetto che risulta lo stesso di grande ampiezza. Nell’ambito dei resoconti del Grand Tour gli argomenti di carattere folklorico costituiscono infatti episodi marginali ma non per questo di minor importanza. Così nel 1830 Keppel Craven sosta per es. a San Vittorino, “ a circa quattro miglia dal Capoluogo Aquila”. Era la domenica di Pentecoste ed il Viaggiatore inglese si trova in tale località per osservare le “le rovine e la posizione dell’antica Amiternum “. Erano dunque interessi storici ed archeologici quelli che avevano spinto Keppel Craven in tale area dell’Aquilano. Tuttavia la sua innata curiosità viene attratta in tale occasione da “ un gran concorso di gente di campagna”, che si era riunita attorno ad “una chiesetta con una vicina torre quadrata… dove era sepolto il santo patrono Vittorino, vescovo della cristiana Amiternum”.
L’occasione permette al Craven di descrivere i costumi popolari femminili ed in particolar modo i loro corpetti blu ed i copricapo rettangolari bianchi, quasi deposti come una corona reale sulle loro teste. Inoltre- e ciò è rilevante- in un angolo sventolavano come vessilli dei grandi panni di seta che erano “i premi destinati ad accendere la competizione in una corsa a piedi”, sicuramente nudi, riservata ai giovani del luogo, come avviene oggi a Pacentro ( Aq.) in occasione della cosiddetta corsa degli zingari, che si svolge in questa bella località,ai piedi della Maiella, nella prima domenica di settembre, festa della Madonna di Loreto.
Anche Augustus Hare ha modo di conoscere nel 1874 l’Abruzzo, che descrive nel secondo volume di Days near Rome, opera pubblicata a Londra nell’anno seguente. Hare soggiorna nella Patria di Ovidio in occasione della Domenica delle Palme. Nel corso della processione che si snoda lungo la cittadina appena conclusasi la manifestazione della Madonna che scappa in piazza, la sua attenzione è attratta dai pittoreschi costumi femminili,alcuni dei quali appartenenti probabilmente a donne del Contado.
Questi costumi, esclama il viaggiatore inglese,“erano semplicemente magnifici, indossando le donne un panno rosso sopra i loro bianchi vestiti e una abbondanza di ornamenti d’oro e corallo”.
Va ricordato che l’argomento ‘costumi popolari’ aveva particolarmente attratto Ferdinando IV di Borbone, il quale aveva inviato per il regno due ‘regi pittori’ a ritrarre le fogge di vestire più caratteristiche con cui rinnovare sotto il profilo cromatico i servizi di ceramica prodotti nella Real Fabbrica Ferdinandea.Tali costumi,acquerellati,erano assai richiesti a Napoli dai Viaggiatori europei che li acquistavano come souvenir del loro soggiorno nella capitale partenopea.
Augustus Hare visita anche l’eremo di Celestino V presso Sulmona e soprattutto Scanno, pittoresca località che contrariamente a quanto scrive O. Lehmann Brockhaus diventa già nota pertanto in Europa prima della sua descrizione fatta nel 1900 da Friedrich Noack nell’opera Italienisches Skizzenbuch [7]. Dopo il suo soggiorno a Scanno il colto viaggiatore inglese fa ritorno a L’Aquila con una “diligenza tirata da quattro cavalli “, come aveva fatto circa tre anni prima Ferdinand Gregorovius, il quale insieme al pittore K. Lindemann-Frommel, suo connaziale, compie nel 1871 un viaggio da L’Aquila a Popoli e da qui al lago di Fucino.
Lo scopo della sua ‘passeggiata’, dichiara lo storico tedesco in un ‘libretto’ dal titolo Eine Pfingstwoche in den Abruzzen ( “Una settimana di Pentecoste negli Abruzzi”) era quello di concedersi “lo svago di una gita nel selvaggio ed ancora poco noto Abruzzo”.
A Popoli tuttavia il Gregorovius ha modo di osservare la sfilata della dote di una giovane sposa (come avveniva ancora negli Anni Cinquanta del secolo scorso in molti paesi dell’entroterra abruzzese) la quale in corteo si recava alla nuova casa con tutte le sue ‘masserizie’. La scena viene definita dallo storico tedesco molto ‘pittoresca’ e rappresenta una piccola distrazione dalla sua vera e propria meta, che è costituita dai Campi Palentini, presso Scurcola Marsicana, dove si infranse il sogno di Corradino di Svevia e perciò meta di molti viaggiatori tedeschi nell’ambito del Grand Tour. Lo storico tedesco, che era anche un appassionato naturalista, si opporrà in seguito al prosciugamento del lago di Fucino compiuto dai Torlonia. Il lago infatti costituiva una potente attrattiva per i Viaggiatori Europei, che ne osannavano la bellezza soprattutto sotto il profilo storico e paesaggistico. Le alture circostanti, grazie al benefico influsso dell’azione mitigatrice dell’acqua, erano tutte coperte da un manto di alberi da frutta e persino di vigneti. Quest’ultimi prosperavano (come scrive Andrea Bacci nella sua famosa opera De naturali vinorum historia, libri VII, stampati a Roma nel 1595 e dedicati a papa Sisto V di cui era medico personale) fino al limite altimetrico di circa 800 metri sul livello del mare. A riprova della forte attrazione esercitata sui Viaggiatori europei dal lago di Fucino, L.Russi ricorda che nel 1863 Alessandro Dumas, tornando da Napoli a Roma, “compie una digressione’ verso la regione marsicana ed attraverso la Valle Roveto visita il Lago di Fucino”.
Il celebre Autore de I tre moschettieri e de Il Conte di Montecristo resta affascinato dalle acque cristalline del lago,che ascrive ad una delle ‘meraviglie’ d’Italia nell’opera Da Napoli a Roma pubblicata nell’ex capitale del regno verso la fine del medesimo anno. Va ricordato che nel 1860 il Dumas aveva già visitato il lago seguendo fino a Napoli Garibaldi come ‘inviato speciale’ dell’impresa dei Mille.
Dobbiamo avvicinarci così ‘a tappe forzate’ verso gli ultimi anni dell’800, in cui si registra in Abruzzo un forte incremento di viaggiatori europei grazie come si è detto al completamento dell’attuale rete ferroviaria regionale. Nel settembre del 1898 viene inaugurata come è noto la ‘strada ferrata’Sulmona- Castel di Sangro- Isernia, che permette di raggiungere agevolmente Napoli.
A questo evento si ricollega l’ascesa sotto il profilo turistico di Roccaraso e Rivisondoli e proprio alla fine del settembre del 1898 soggiorna a Roccaraso la scrittrice americana Maud Howe, cui si devono nel suo romanzo epistolare dal titolo in italiano, Roma Beata, alcune scene di vita popolare definite a giusto titolo “pennellate cromatiche di prima qualità”. La Howe descrive per es. per la prima volta l’essiccamento del succo di pomodoro su spianatoi di legno esposti da mane a sera al sole, una ‘pratica’ questa che è perdurata fino agli Anni Sessanta del Novecento.
L’Autrice descrive poi le conseguenze a Roccaraso di una alimentazione giornaliera a base di granturco, sia sotto forma di polenta che di ‘pizza al coppo’, la quale provocava specie nelle donne vaste chiazze rosse sulla pelle, una malattia che il vecchio medico condotto del paese, al quale la Hove aveva chiesto in proposito informazioni, diagnostica come pellagra.
Sempre a Roccaraso soggiorna nell’estate del 1906 Anne Macdonell, che nel 1908 pubblica a Londra un eccezionale resoconto sul suo viaggio nella nostra Regione, dal titolo In the Abruzzi[8]. La grande scrittrice è accompagnata nel suo viaggio dalla pittrice americana Amy Atkinson ed uno degli acquerelli dell’artista,raffigurante l’antica Roccaraso abbarbicata sullo sperone che sovrasta il Rasine, correda questo bel volume fatto di interessanti descrizioni ed annotazioni sui Viaggiatori dell’800 in Abruzzo.
Una singolare figura di viaggiatore è costituita dal danese Christian Zahrtmann, che dimorò alcuni anni a Civita d’Antino nella Valle Roveto, dove dipinse bellissime tele raffiguranti scene di vita contadina. Zahrtmann è considerato il massimo rappresentante della pittura romantica danese e dopo la sua morte i discepoli ripeteranno l’avventura del loro Maestro, soggiornando a Civita d’Antino ospiti della medesima famiglia Cerroni, signori del luogo.
Frattanto il rito delle serpi in onore di San Domenico di Cocullo aveva oltrepassato per la sua straordinaria ‘scenografia’ i confini nazionali ed affascinato in particolar modo gli antropologi culturali inglesi che facevano capo alla Scuola Britannica a Roma. Nel 1907 era apparso un saggio di Marian Harrison in Folk-lore, dal titolo Serpent Procession at Cocullo, mentre in data 1° giugno 1909 viene pubblicato su The Manchester Guardian un articolo di W. H. Woodward dal titolo The festival of San Domenico, che impressionò non poco il pubblico inglese per i suoi aspetti ofidici messi in relazione con le pratiche religiose e terapeutiche degli antichi Marsi.
Si tratta a ben osservare di una vecchia deformazione della realtà, che si è consolidata nella visione di studiosi antichi e recenti, i quali hanno completamente travisato la dinamica di formazione del culto di San Domenico, che stando alle due Vitae del Santo scritte dai suoi discepoli Giovanni ed Alberico esercitava all’inizio ( XI secolo) solo un protettorato antifebbrile ed antitempestario.
Circa sei secoli dopo e precisamente nel 1626 il vescovo di Valva e Sulmona mons. Cavalieri,si reca a Cocullo in visita pastorale e nella sua Relazione ci offre la straordinaria notizia che alla chiesa dedicata al Santo era conservato un dente miracoloso di cui si ha la prima notizia nel 1597 dal vescovo di Valva mons. Del Pezzo nella sua visita pastorale compiuta nel suddetto anno a Cocullo. Questo ‘sacro dente’ sarebbe stato donato secondo una pia leggenda dallo stesso San Domenico alle devote popolazioni locali, sicché coloro che erano stati morsi da cani rabbiosi confluivano alla chiesa-santuario di Cocullo per guarire mediante il ‘tocco’ del sacro dente dalla temuta rabbia.
San Domenico esercitava dunque in tale periodo solo un potere antirabbico. Ma più tardi, grazie ad una ‘operazione culturale’ che non poteva se non essere ideata dall’accorto clero cocullese,la presenza del ‘sacro dente’( quello buono e salvifico) per eccellenza, assurge a baluardo contro tutti i denti cattivi esistenti in natura, soprattutto quelli degli ofidi velenosi.
Per gli aspetti scenici e terrificanti legati al rito processionale ( si parla spesso della statua come divinità chtonia anguicrinita) e per i progressi fatti dalla scienza medica nella cura della rabbia, il culto antiofidico doveva nel giro di poco tempo assumere il sopravvento facendo scomparire le tracce del precedete culto antirabbico.
Il terzo patronato,quello antiodontalgico,in cui il dente cariato è associato all’idea del ‘dente cattivo’, è quasi del tutto scomparso nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso e si esercitava afferrando con i denti la ‘funicella’ della campana sita all’ingresso del santuario e facendola squillare una o due volte.Il rituale aveva anche una funzione preventiva ed immunizzante contro le odontalgie.
Il primo trentennio del Novecento è forse quello più proficuo per lo studio di alcuni temi demologici che costituiscono tuttora il patrimonio folklorico più significativo della nostra Regione.
I viaggiatori europei che raggiungono le varie località abruzzesi per osservare e studiare ‘sul campo’ manifestazioni demologiche tuttora assai vive, sono per lo più storici ed antropologi culturali inglesi, i cui preziosi contributi appaiono nel prestigioso periodico The Anglo-Italian Review, edito a cura della Scuola Britannica di Roma. E proprio da Roma parte diretto a Sulmona la domenica del 2 maggio 1909 Thomas Ashby, il quale tre anni prima era stato nominato Direttore del prestigioso Istituto Britannico di Roma. La sua meta principale era Pratola Peligna, dove lo studiosi si reca per assistere alla processione della Madonna della Libera, già nota al pubblico inglese perché sulla rivista Folk-lore era apparso agli inizi del ‘900 un articolo di M. Harrison sui riti di incubazione ( A survival of incubation ) da parte dei pellegrini che sostavano la notte della vigilia della festa nel Santuario di Pratola Peligna [9].
A Pratola Thomas Ashby resta affascinato dall’aspetto cromatico dei vari costumi, ciascuno dei quali denota l’appartenenza delle donne salmodianti a paesi diversi dell’area peligna, e dagli enormi pani a forma di ‘ciambella’ infilati nelle stanghe delle statue di numerosi santi che seguivano in processione quella della Vergine, un aspetto che richiama alla mente dello studioso i culti primaverili professati a Cerere.
Tuttavia Ashby resta impressionato dalle offerte votive costituite da banconote da 5 o da 10 lire, appese con uno spillo al manto della Madonna e sugli stendardi processionali , nonché da altri particolari della festa sui quali è reso edotto dal ‘Prof.Woodward’, il quale ben conosceva evidentemente la sacra rappresentazione. Infatti i pellegrini che tornavano dalla festa di Pratola sostavano nella cattedrale di San Panfilo a Sulmona per adorare la Sacra Spina appartenuta secondo una pia tradizione alla Corona di Gesù ed esposta ai fedeli nel giorno della sua festa (prima domenica di maggio). Molti fedeli inoltre raggiungevano lo scanno situato nel basso della cripta e vi restavano seduti compiendo un rituale che non risulterà ben chiaro allo studioso:
“ Alcune donne– scrive Ashby che assiste nella penombra al rituale- si mettevano a sedere sullo scanno, facendo ruotare le due sfere di pietra nera che ornano ciascuno i bracciali dello scanno…Quale significato avesse il rito di far ruotare le sfere non mi fu possibile sapere…”.
Si tratta di un particolare aspetto legato alla credenza della ‘virtù curativa’ della pietra (litoterapia), rafforzata nella fattispecie dalla ‘legge di contatto’ per essere appartenuto lo scanno secondo una antica tradizione al Santo vescovo Panfilo, patrono della Città di Sulmona.
La credenza sulle virtù curative delle pietre contro artriti e artrosi deformanti è antichissima ed in Abruzzo ha modo di manifestarsi nel culto professato a San Venanzio, nell’eremo a lui dedicato a Raiano, dove confluisce il 18 maggio una folla incredibile di fedeli afflitti dai mali ‘ambientali’ causati dall’umidità. Essi scendono nella grotta dove dimorò il Santo e strofinano la parte del corpo colpita da affezioni reumatiche negli anfratti e nelle cavità presenti nei cunicoli;dopo di che riemergono quasi a nuova vita grazie a potenti forze segrete sprigionate dal corpo umano e poco conosciute dalla medicina ufficiale, che si dichiara impotente oggi nella cura delle artrosi.
Ashby assiste a Sulmona anche alla sacra rappresentazione di Pasqua nota come La Madonna che scappa in piazza e di cui ci offre una descrizione che ci permette di evidenziare l’evoluzione degli schemi processionali nel corso dell’ultimo secolo ma non le funzioni antropologiche svolte dalla manifestazione. La folla dei fedeli partecipa infatti fin dal momento della Processione che si svolge la sera del Venerdì Santo ad uno psicodramma in cui “morte e resurrezione” sono rappresentate da due particolari modi di incedere, dallo struscio del Venerdì Santo, che imita il faticoso procedere dell’uomo nella storia con simboliche ‘catene ai piedi’, ed il passo liberatorio costituito dalla corsa della Madonna nella Domenica di Pasqua.
Numerose sono anche le descrizioni della festa del bue di San Zopito, che si svolge a Loreto Aprutino ( Pe.) il lunedì dopo la festa di Pentecoste e le cui origini, decisamente paradossali, sono state ben messe in evidenza da Alfonso Di Nola[10]. Infatti, scrive il Di Lola, questo san Zopito non è mai esistito. I canonici di Penne, sede diocesana da cui dipendeva Loreto Aprutino, avevano richiesto ed ottenuto in data 12 dicembre 1710 i resti di un martire delle catacombe di San Callisto con cui privilegiare la chiesa-madre,data l’assenza nelle chiese del luogo di qualche significativa reliquia di un martire.
Un canonico del Capitolo di Penne, incaricato di tale missione a Roma, scoprì nelle citate catacombe una lapide sulla quale era inciso il nome Sopitus : “Erano- scrive il Di Nola- le ossa di un defunto cristiano, che l’iscrizione dichiarava morto o addormentato nel Signore ( Sopitus in Domino),onde l’equivoco che avrebbe portato la qualificazione sopitus in un nome proprio, Zopitus”. Comunque le reliquie pervennero prima a Penne e da qui furono trasportate a Loreto Aprutino il lunedì dopo la festa di Pentecoste.
Tuttavia la parte più interessante del rituale, per la cui minuta descrizione si fa rimando alla citata opera del Di Nola, è che nel giorno della festa partecipava alla processione anche un bue, costretto ad inginocchiarsi davanti alle abitazioni dei maggiorenti e persino in chiesa, dove veniva condotto e sostava per tutta la durata della cerimonia religiosa. Ma qui avveniva l’incredibile, che riferiamo nelle due versioni del De Nino e dello Spranger, antropologo dell’Istituto Britannico a Roma e viaggiatore.
Scrive il De Nino : “ Viene la festa di San Sopito. Si porta in processione la statua del santo e dietro al Santo, il bue…Con orpelli e nastri gli hanno abbellito la coda e le corna.Un manto rosso lo copre e lo cavalca un fanciullo vestito di bianco…La processione rientra, e rientra San Sopito.Il bue si ferma innanzi la porta della chiesa.Tutti a guardare il bue che si inginocchia,si rialza a stento, ed entra in chiesa fra gli applausi e le tenerezze degli astanti. Credo che si intenerisca anche l’animale, perché quasi sempre in quel momento si sgrava del soverchio peso.E i devoti dalla quantità della materia sgravata arguiscono la scarsezza o l’abbandanza del ricolto “[11].
Più esplicito lo Spranger : “ Durante la cerimonia,generalmente nel corso della processione ma talvolta anche nella stessa chiesa, il bove evacua, fenomeno cui quelle popolazioni annettono una grande importanza in rapporto al prossimo raccolto”[12]. Lo Spranger scrive che “ il bove evacua”. In realtà l’animale era costretto ad evacuare grazie a particolari techiche stimolanti messe in atto dal bovaro che ne era proprietario. Il rituale, proibito verso la metà del secolo scorso dalla gerarchia ecclesiastica, costituiva il residuo di antichi culti legati alla sacralità del bue aratore ed alla attività di divinazione per mezzo del letame. Un aspetto del culto riaffiora oggi a Roccapia, Rocca di Mezzo ecc. nella cosiddetta gara del solco diritto, che esalta il rapporto ancestrale fra l’uomo ed il ‘bue aratore’.
E’ stato certamente veloce il succedersi dei ‘quadri viventi’ che abbiamo sottoposto all’attenzione dei nostri pazienti lettori e che ci inducono a riflettere su come sia straordinario il patrimonio etnografico dell’Abruzzo,patrimonio che ha attirato e tuttora attira nella nostra Regione studiosi e ‘curiosi’ provenienti da ogni parte del mondo. A Cocullo per es. sono presenti ogni anno anche emittenti televisive giapponesi.Ma per quanto concerne la prima metà del ‘900, il periodo che più particolarmente ci interessa, merita un cenno a parte la folklorista inglese, ma di antiche origini italiane, Estella Canziani, la quale nel 1914 compie insieme al padre un ‘avventuroso’ viaggio nell’Abruzzo Aquilano, soggiornando in particolar modo a Mascioni prima della realizzazione del lago di Campotosto. Essendo anche una valente pittrice, la Canziani ci ha lasciato alcuni disegni a colori di grande bellezza e relativi a costumi popolari e scorci caratteristici di paesi aquilani dell’area del Gran Sasso. Alcuni di essi corredano il suo resoconto di viaggio. Esso ha per titolo Through the Apennines and the Lands of the Abruzzi. Landscape and peasant life ed è stato tradotto da una ‘equipe’ di studiosi aquilani con il titolo Attraverso gli Appennini e le Terre degli Abruzzi, i quali hanno ben evidenziato l’interesse della demologa inglese per i proverbi, canti popolari, magia e stregoneria, insomma per tutti gli aspetti della vita tradizionale delle piccole comunità sparse lungo l’Appennino abruzzese[13].
Si è parlato in precedenza della devozione della sacra Spina conservata nella Cattedrale di San Panfilo a Sulmona. Altre spine, appartenute secondo pie tradizioni alla ‘Corona di Cristo’ erano venerate a Lanciano, Vasto e soprattutto a L’Aquila, come riferisce appunto la Canziani. In data 29 agosto 1914 la demologia inglese assiste infatti a L’Aquila all’esposizione da parte del vescovo delle reliquie conservate presso la Basilica di Collemaggio, in occasione della ricorrenza dell’incoronazione di papa Celestino V. Quando fu alzata la sacra Spina, scrive la Canziani, “ preti e folla si inginocchiarono, la banda suonò più forte che mai, mentre la gente applaudiva, pregava, gridava, sollevava i bambini in alto, i pazzi si arrampicavano e scuotevano le sbarre delle finestre, piagnucolando e lamentandosi di voler uscire”.
Va sottolineato come importanti manifestazioni della cultura popolare abruzzese emergano talvolta da resoconti di natura diversa dalla letteratura ‘di viaggio’, soprattutto da ‘diari militari’.
E’ il caso per es. di Rémy D’Auteroche, autore di una relazione, pubblicata postuma, dal titolo La vie militaire en Italie sous le Premier Empire ( 1806-1809)[14] .
Il D’Hauteroche, giovane sous-lieutenant di 19 anni, si trova nella guarnigione francese di stanza presso la fortezza di Pescara nell’ottobre del 1806, dove presterà servizio fino al gennaio del 1807.
Dobbiamo proprio a questo giovane sottotenente francese la notizia di una straordinaria manifestazione, risalente forse al periodo del Viceregno spagnolo, che si svolgeva a Pescara in tutte le ricorrenze festive. Gli abitanti di questo villaggio, sottolinea il D’Hauteroche, « aiment avec passion les combats de taureaux et de chiens; point de fetes sans cet amusement » .
Nelle principali feste religiose veniva liberato dunque nel centro di Pescara un giovane toro, contro il quale era aizzato un branco di mastini, resi più feroci man mano che le chiazze di sangue cominciavano ad apparire sulle zampe o sul collo del bovino. Alla fine di strenui combattimenti la sua sorte si poteva dire ben che segnata.
I preziosi resoconti dei Viaggiatori che visitarono l’Abruzzo nell’ambito della cultura del Grand Tour oppure che vi risiedettero, come per es. il D’Hauteroche, non per motivi storico-letterari, allargano le conoscenze etnografiche della nostra Regione e diventano pagine di storia di straordinaria freschezza ed importanza. Invano si cercherebbe però nei libri di viaggio una analisi sui problemi sociali ed economici delle popolazioni abruzzesi, che non sembrano interessare – ad eccezione forse della Macdonell – i protagonisti del Grand Tour.
Mentre Edward Lear sosta a Villalago, presso Scanno, si imbatte in una povera vecchia, coperta di stracci, che gli confida : “Siamo qui senza denaro, senza pane,senza panni, senza speranza, senza niente”.
Questa straziante confessione della ‘vecchina’ di Villalago non suscita alcuna emozione nell’animo del viaggiatore inglese, che si limita solo ad ascrivere l’episodio al “particolare mondo ”degli Abruzzi, abitato da ‘gente pittoresca’.
Franco Cercone
Cercone, Franco, Le Tradizioni popolari abruzzesi nei resoconti dei viaggiatori europei del XVIII e XIX secolo pubblicato in “ AA VV , Un popolo di visionari e poeti, Laboratorio di studi antropologici LHASA, L’Aquila 2009.”
LE TRADIZIONI POPOLARI ABRUZZESI NEI RESOCONTI DEI VIAGGIATORI EUROPEI DEL XVIII E XIX SECOLO
Tratto da: http://www.ilconviviodelpensierocritico.it/portfolio/273/
[1] Città di Castello , S. Lapi Editore . Il Saggio costituisce l’Appendice all’opera del D’Ancona L’Italia alla fine del secolo XVI. Giornale di Viaggio di Michele De Montaigne in Italia nel 1580 e 1581. Il Montaigne si reca durante il suo viaggio in Italia anche a Loreto Marche, per depositare personalmente al famoso Santuario Mariano tre ex voto costituiti da tre cuori d’argento.
[2] Vecchio Faggio Ed., Chieti 1982.
[3] Sulmona 1985, a cura del Centro Studi Panfilo Serafini.
[4] Voll. 2. Dell’opera esistono due traduzioni in italiano, pubblicate entrambe a Sulmona. La prima A cura di D. Lepore e R. Cincione, Sulmona 1981; la seconda a cura di I. Di Iorio, Sulmona 1982.
[5] Trad. a cura di B. Di Benedetto Avallone, Sulmona 1974.
[6] Cfr. A. Steinitzer, Aus dem unbekannten Italien, Piper Verlag, Monaco di Baviera 1911. L’espressione è contenuta nel Cap. XIII dell’opera, che ha per titolo Drei Wochen in den Abruzzen ( ‘Tre settimane negli Abruzzi’), Trad. e note a cura di F. Cercone, Sulmona 1977.
[7] Cfr. Atti del Terzo Convegno Viaggiatori ecc., cit., p. 35.
[8] E’ stata magnificamente tradotta con il titolo Negli Abruzzi daGisa Taurisani, introduzione e note a cura di F. Cercone, e pubblicata dal Centro Studi Panfilo Serafini ( Sulmona 1991).Traduzione di parte dell’opera si deve anche ad I. Di Iorio, A. Polla Ed. Cerchio ( Aq) 1992 .
[9] Sulle ‘escursioni’ compiute in Abruzzo da T. Ashby in tale periodo cfr. Sagre e feste d’Abruzzo, a cura di M. Concetta Nicolai; Ediz. Menabò, Ortona 1995. La festa della Madonna della Libera si svolge come è noto la prima domenica di maggio. Festa ‘mobile’ dunque, come quella di San Domenico di Cocullo che cade il primo giovedì di maggio.
[10] Cfr. A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi ecc., op. cit., II Ediz., p. 283 sgg.
[11] A. De Nino, Usi abruzzesi,pp. 161-162, Firenze 1879.
[12] J. A. Spranger, La processione di San Zopito, in ‘Archivio per l’antropologia e l’etnologia’, n° L, Firenze 1921.
[13] Cfr. V. Bonanno,M, Lusi, D. Grilli, Attraverso gli Appennini e le Terre degli Abruzzi, De Feo Ed.,Roma 1979. Collana di ‘Biblioteca di cultura abruzzese’ diretta da Fratesco Di Gregorio.
[14] Saint Etienne, 1894.